NON BUTTIAMOCI GIU’

Pubblicato: marzo 27, 2014 in Uncategorized
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Non buttiamoci giù locandinaFonte: teamworld.it

Regia: Pascal Chaumeil

Con: Aaron Paul, Pierce Brosnan, Toni Collette, Imogen Poots

Genere: drammatico

 

VISTO DA MARVIN

Ci sono film che attraggono senza particolari motivi: tra pubblico e pellicola si crea una sorta di simpatia dettata dalla storia, da un cast attraente e da un trailer ben costruito. Inoltre non essendo un esperto lettore di Nick Hornby non è stata la sua capacità di scrittura ad attirarmi.

Che il film tenga fede allo spirito del romanzo di partenza non è affar mio e qui chiamo in causo il mio socio Joe Gideon che saprà snocciolarmi filosofie, prose e stili di un autore che ha scritto, tra i tanti, “About a Boy”, trasportato al cinema splendidamente nel 2002 da Chris Witz e con Hugh Grant come protagonista.

Divertenti e divertite le interpretazioni dei quattro attori che dimostrano fin da subito un ottimo feeling; menzione d’onore per la bella Imogen Poots nell’incarnare un personaggio tanto sbarazzino e sopra le righe quanto fragile nel suo intimo. Ma, tra tutti, il personaggio più di spessore è sicuramente il “pizza boy” interpretato da Aaron Paul, anche se è un peccato che alla fine risulti schiacciato dagli altri. Ma aleggia un senso di “sprecato” intorno a tutto il cast.

Se, a detta della critica letteraria, i quattro personaggi di “Non Buttiamoci Giù” su carta sono costruiti benissimo, ho trovato azzeccata e ben recitata la loro controparte in celluloide. Mi è pure molto piaciuta la caratteristica di voler introdurre il background di ognuno di loro nel corso della vicenda come se fossero quattro grossi capitoli del film. Ogni pezzo di storia ha uno dei quattro come centro di narrazione mentre la storia va avanti per conto suo.

Ma il dolore e la sofferenza che possono portare a volersi suicidare sono sfiorati solo superficalmente: non mi è molto piaciuto che i quattro passino più tempo a ridere e ballare che a riflettere sul loro volerla fare finita.

La vicenda soffre di una messa in scena eccessivamente costruita, ruffiana e volutamente patinata tipica di una trasposizione cinematografica commerciale; mi chiedo se anche il romanzo di partenza aveva in se quest’anima, non credo.

C’erano due modi per affrontate il tema: in maniera pesante, drammatica e fortemente negativa (roba da strozzarsi volutamente con i popcorn durante la visione del film) oppure con una simpatica componente derivata dalla black comedy con tanta ironia. Come detto, cosi non è stato: si è scelta la via facile del commerciale e del facilmente vendibile ad una più ampia fetta di pubblico. Mi è sembrato quasi di vedere una rom-com dove il mcguffin è rappresentato da un suicidio.

Ma forse va bene così. Forse sono io che mi aspettavo una riflessione sul suicidio un pochino più incisiva e quantomeno più accennata di quanto abbia visto, perché non è che si possa dare una risposta definitiva all’argomento.

A volte sarebbe bene lasciarsi scivolare addosso un certo tipo di superficialità e lasciarsi conquistare dalla spensieratezza e da una semplicità che,in questo caso, risulta comunque godibile in una pellicola senza troppe pretese.

 

Notizia: l’autore del romanzo non ha partecipato in veste di sceneggiatore a questa trasposizione del suo romanzo. Che sia questo fatto a dettare una riuscita cosi annacquata? Joe, chiedo il tuo intervento nel rispondermi a questo quesito!!!

 

VISTO DA JOE

Caro Marvin, mi fa piacere sapere da te che l’autore non abbia partecipato alla sceneggiatura della pellicola. Ma, viste le ultime misere pubblicazioni di Hornby, non si sarebbe sentita molto la differenza. Peccato perché il libro fa parte di un suo periodo produttivo piuttosto felice (febbre a 90°, alta fedeltà, un ragazzo, per dire i tre più famosi), da cui la settima arte ha preso a piene mani realizzando anche apprezzabili gioielli. Speravo, caro Marvin, che il film si inserisse agli stessi livelli dei suoi precedenti e invece… Finito il film non mi ricordavo mica come andava a finire il libro (di certo NON come sullo schermo!) e sono andato a rileggermelo.

L’opera cinematografica non è altro che una serie di occasioni perse. Certo, non è facile parlare di suicidio dosando in modo equilibrato una gamma di toni seri con il giusto pizzico di senso dell’umorismo (Hornby lo fa). L’ironia iniziale (quattro persone che si trovano contemporaneamente sul tetto di un grattacielo per farla finita) si stempera in modo disorganico (comunque insufficiente) lungo tutta la storia. Gli attori e i loro personaggi sono chiamati ad un percorso che non viene concluso. Pierce Brosnan è decisamente il più inutile del cast, inutilmente patinato (anche se un po’ lo richiede il suo personaggio). Imogen Poots dovrebbe rappresentare una 18-20enne in preda alle crisi della sua età ma il suo cammino si ferma a metà. Aaron Paul avrebbe dovuto venir fuori meglio di tutti i suoi compagni di lavoro, ma i complessi, le nevrosi, le fisime del suo personaggio non risaltano a sufficienza.

L’unica che riesce a distinguersi è Toni Collette, attrice che probabilmente non ha avuto un riscontro di pubblico proporzionale all’impegno con cui ogni volta affronta le sue parti: è un’attrice che rispetta il suo lavoro affrontando con profondità qualunque copione (cfr. Little miss sunshine, About a boy, solo per citare due titoli molto diversi nel suo immenso palmarès). E anche qui non si risparmia mostrando concretamente l’evoluzione di questa madre anonima esteriormente, ma profondamente sensibile e tutta votata alla cura di un figlio gravemente disabile.

E poi bisogna fare una distinzione che solo apparentemente può sembrare inutile: l’autore del libro è di origine inglese (= verve, sense of humour, ironia, personalità sia dei personaggi sia dell’autore quando riflette sui casi della vita); pur essendo anch’esso di origine inglese, il film sa di americano (=superficialità generalizzata).

Ogni tanto c’è qualche picco di lirismo con il quale pensi che il film finalmente decolli (a un certo punto i quattro protagonisti fanno un bagno in mare vestiti: è una bella scena), ma come dico spesso, l’effetto è di gittata a breve raggio. Oppure il regista arricchisce di piccoli giochi cromatici alcune scene, ma sempre all’insegna di qualcosa che rimane fine a se stesso.

Infine il film trasuda il suo americanismo proprio nella sua conclusione prevedibile ed assolutamente positiva. Anche il libro lascia margini di (cauto) ottimismo, ma in modo decisamente più verosimile, al punto che tu spettatore puoi parzialmente immedesimarti nelle sfumature di certi ragionamenti.

Quindi, caro Marvin, noterai che anch’io non sono proprio soddisfatto del film.

 

 

JG (mogio mogio, mugugna qualche singulto perché piagnucola)

M (vicino a lui, cerca di consolarlo): Su non abbatterti per il film

JG (continua a mugugnare e a piagnucolare)

M (insistendo nel consolarlo):Vedrai che il prossimo film tratto da Hornby sarà sicuramente migliore!

JG(continua a mugugnare e a piagnucolare)

M (sorridendo, perché forse ha trovato il modo di tirar su JG): Dai, su… Pensa che almeno questa volta siamo d’accordo su un film!

JG (continua a mugugnare e a piagnucolare)

M (scocciato e con voce alterata): Come fai a non tirarti su?! E’ il secondo film di fila dove la pensiamo più o meno allo stesso modo!!

(Vedendo che JG non cambia atteggiamento, M lo manda palesemente a quel paese e se ne va)

 

commenti
  1. 76sanfermo ha detto:

    …e , si , non se ne puo piu di questo vostro andare d’accordo….
    (Se tutti e due lo votate basso , chi va a vederlo?)
    Comunque e’ bello leggervi , guapotes!

  2. adryanab ha detto:

    sono d’accordo anche io, questo film è proprio un’occasione persa. Superficiale, non leggero; tirato via non disinvolto, prevedibile, non rassicurante. Alcuni dialoghi davvero imbarazzanti nella loro insignificanza. Ed è un vero peccato, perchè di materiale ce ne sarebbe stato molto.

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