Libreria Baravaj/Osteria dell’Utopia (a Milano in via Vallazze 34, angolo viale Lombardia), all’interno del ciclo di incontri denominati DEGUSTAZIONI CINEMATOGRAFICHE, ospiterà anche per il mese di gennaio i vostri Marvin e Joe per una serie di serate dedicate a particolari monografie di personaggi legati al mondo del cinema.

L’anno si aprirà con un incontro fissato per il prossimo 20 gennaio (indicativamente a partire dalle 20.45/21.00): per l’occasione sarà presente l’esperto Giorgio De Giorgio per parlare di un mito che ancora vive a distanza di tempo: Brigitte Bardot. Anche se ormai sono passati oltre quarant’anni dal suo ritiro dalle scene, questa attrice resta nell’immaginario collettivo l’icona di una rivoluzione più socio-culturale che artistica. Ancora oggi le sue immagini ci presentano un modello di seduzione tuttora conturbante.

Perché non presenziare a questa fantastica rievocazione?

L’ingresso è libero: vi attendiamo numerosi.

Locandina del film Il ponte delle spieFonte: Trovacinema.it

Regia: Steven Spielberg

Interpreti: Tom Hanks, Alan Alda, Dominick Lombardozzi, Amy Ryan

Genere: Drammatico/Spionaggio

VISTO DA MARVIN

Ci voleva un gran coraggio per uscire al Cinema con un film non del genere commedia nello stesso weekend di “Star Wars”. Infatti quasi tutti gli unici altri film in uscita in questo periodo sono commedie negli USA e cine-panettoni in Italia.

Solo Steven Spielberg poteva osare tanto e portare un film di questo genere (spionaggio bellico in piena guerra fredda), proprio in un periodo in cui improvvisamente e inspiegabilmente si ha tanta voglia di buonismo e di risate.

Il regista è colui che ha inventato e iniziato il buonismo e tutte quelle storie romantiche, fantastiche piene di buoni sentimenti e di avventura… Alcuni film, dagli anni ’80 in poi, si possono tranquillamente definire “alla Spielberg” per il loro svolgimento e per tutta un’aurea che aleggia in loro .

Nella sua lunga filmografia solo alcune volte il grande regista americano ha osato realizzare film meno votati al buon sentimento, meno stucchevoli e favolistici (secondo me, questi, sono stati i suoi film migliori). Dopo “Lincoln” (semplicemente una lunga lezione di storia), ecco quindi tornare Steven Spielberg con un film che ne contiene tanti. Uno spy-movie alla vecchia maniera, un film processuale, un film psicologico più di parecchi altri e molto morale (ma non moralistico) ma per nulla bambinesco e favolistico.

Da non dimenticare che il film nasce da una sceneggiatura di Joel & Ethan Coen: sono infatti molto presenti alcuni spunti, chiavi di lettura, dialoghi ed elementi quasi surreali che donano al film uno spessore maggiore. Tutto questo allarga l’intrattenimento ma non in modo puramente commerciale (non sto parlando di mezzucci per far ridere in maniera stupida), semmai in maniera molto intelligente.

Ma il film ha parecchio Spielberg in sé, in una maniera diversa dal solito.

Dopo la visione del film, quello che rimane, più che l’estetica e l’accurata messa in scena, sono i personaggi e le loro personali psicologie, le loro particolari caratteristiche nonché le loro interpretazioni. Questa particolarità si sta un po’ perdendo e ci voleva proprio Spielberg a ricordare che si può fare cinema anche in questa maniera, grazie ad una narrazione di questo tipo, riuscendo anche ad aggiungere che l’etica e la coerenza dei due personaggi principali (l’avvocato e la spia russa) sono ideologie “rivoluzionarie” e isolate ma dirompenti in un mondo che fa sempre più a gara tra“chi è più anti-convenzionale”.

Questa cosa si vede non solo dentro al film ma anche nella cinematografia di Spielberg che risulta precisa, limpida e senza sbavature allo scopo di dare una vera lezione di cinema a tutti quanti.

Certo; ci sono anche tutte quelle caratteristiche tipiche di un cinema “alla Spielberg” come i troppi finali, la musica non tropo caricata, i buoni sentimenti, i punti saldi quali la famiglia e i cattivi che non sono proprio cosi cattivi. Ma questa volta l’essere riuscito a tenere a freno altri suoi vezzi artistici quali il voler rendere il tutto troppo buonista, il cercare a tutti i costi di creare un capolavoro ben confezionato e l’evitare di fare un film troppo lezioso hanno reso questo film uno dei suoi migliori in assoluto per il giusto bilancio di caratteristiche tecnico/artistiche.

VISTO DA JOE

Tom Hanks. Già ho detto di lui qualche stagione fa. Ma ribadisco ancora una volta: ci sono aspetti oggettivi e soggettivi di lui che non me lo rendono per nulla apprezzabile. Non gli perdonerò mai (oh! Quante volte lo ripeterò ancora…) la vittoria dell’Oscar a scapito di un impareggiabile John Travolta in Pulp fiction. Forse fu più colpa dell’Academy: meglio un rassicurante Hanks che incarna i soliti valori retorici dell’americano medio, rispetto ad un trasgressivo Travolta o ad un monello Tarantino.

Con “Ponte delle spie” non dico di aver fatto pace con l’attore, ma posso dire che rispetto ad altre pellicole che ho visto, mi risulta di sicuro meno sgradevole. I valori retorici dell’americano medio di sicuro sussistono, ma sono un ingrediente di regia, un elemento rappresentato come denominatore comune della mentalità del popolo USA di quel tempo (primi anni ’60, cioè piena guerra fredda). In quel periodo, l’America si sente portavoce di un ruolo e di una moralità che devono essere contrapposte a tutto quello che esprime il Gigante cattivo dell’Est. Quindi, questa moralità, questi valori eccessivamente positivi NON SONO una tesi portata avanti dal film, bensì un voler mettere sullo schermo quello che erano gli Stati Uniti in quegli anni. Ed è bravo Spielberg a rappresentare tutto questo soprattutto nelle scene corali, dove anche semplici sguardi parlano da soli e fanno capire quale sia il pensiero prevalente nell’America di quel periodo. Non solo, la contrapposizione è ancora più marcata nella descrizione di Berlino nei giorni precedenti alla costruzione del famoso muro: forse, certe scene sono costruite apposta per certo pubblico medio americano, ma rimangono comunque una piccola testimonianza da non sottovalutare.

Tom Hanks, qui, pensa alla sua parte di negoziatore sfruttando le sue abilità di avvocato e nulla più: non c’entra la moralità. C’entra piuttosto il fatto che ha di fronte una serie di avversari da affrontare con la sola forza della parola: e questa forza deve contenere l’impeto di questi avversari e non permettere che degeneri in altri ambiti (vedi uso di armi di distruzione di massa). La storia del film, ma anche la Storia degli uomini incombono: non c’è tempo per la retorica quando si è in mezzo allo spionaggio e al controspionaggio.

Per quanto il film mi abbia catturato, le riserve nei confronti dell’attore continueranno sempre. Piccola notazione: a un certo punto del film, Hanks riceve come regalo un ritratto, ma… più che Hanks, il disegno ricorda molto di più Antonio Banderas.

Tornando a Spielberg, è sicuramente autore di acclarata fama ed eclettico nelle sue scelte anche se non sempre nella sua carriera è andato a segno. In questo caso è notevole il fatto che sappia tenere un costante livello di tensione per tutto il film che non diminuisce nemmeno di fronte a qualche piccolo siparietto simil-comico.

Dell’ambientazione ho già detto: non solo c’è attenzione nel rappresentare com’erano e come vivevano gli americani dell’epoca della guerra fredda. Il regista effettua questa trasposizione non certo per sottolineare che quei tempi fossero migliori di questo: anzi, se può, ci mette un pizzico di ironia e sarcasmo. Piuttosto, l’intento è quello di evidenziare come la società attuale, rispetto ad allora si sia evoluta (ma comunque deve ancora fare passi da gigante per arrivare ad uno standard accettabile).

Marvin e Joe stanno nervosamente camminando sulla scena. Qualcosa sembra non andare per il verso giusto

M (con aria fintamente contenta, decisamente polemico) : Ma come siamo bravi!! Il cinema è pieno di cine-panettoni e il film del momento è Star Wars e noi cosa andiamo a recensire??? Un film che parla di guerra e spionaggio!!! (gesticolando nervosamente) Siamo proprio dei furboni, maghi nel sapersi vendere.

JG (facendo fatica a stargli dietro, cercando di tranquillizzarlo): Ma non sei contento? (progressivamente sempre più entusiasta) Andiamo controcorrente… Siamo dei solitari… Dei sovversivi originali e rivoluzionari del grande schermo!!!!!

M (scontento, scocciato): Ma cosi non sale l’hype, non arrivano i like e non si aggiungono i click !!!!!!!!

JG (scocciato, ma per altri motivi): Ma non ti va bene nulla… (con un filo di disprezzo) Sempre scontroso e asociale….

M (girandosi di scatto verso di lui, indicandolo): L’hai detto tu!… (sicuro di sé) Sto adottando la tua filosofia di (con enfasi) “andare controcorrente.. essere solitario sovversivo originale” (esce furibondo)

JG (sconsolato, verso il pubblico): Siamo senza speranza!!! (esce)

Fonte: youtube.com

DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES

Pubblicato: dicembre 25, 2015 in Uncategorized
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Locandina del film Dio esiste e vive a BruxellesFonte: trovacinema.it

Regia: Jaco Van Dormael

Interpreti: Catherine Deneuve, Benoit Poelvoorde, Yolande Moreau, Pili Groyne, Romain Gelin

Genere: Commedia

VISTO DA MARVIN

L’invasione dei film Francesi continua… E meno male, dico io, che sono stati sdoganati oltre il loro paese d’origine. Sono anni che abbiamo scoperto che la Francia è capace non solo di fare ottimi film d’azione ( Luc Besson è stato il primo grande nome che si è fatto conoscere nel mondo) ma anche film horror e commedie tali da far nascere remake quali, ad esempio, “Benevenuti al Sud” rifacimento di “Giù al nord”.

Ma le risorse e le idee dei film Francesi non finiscono qui. Oltre a saper far ridere “di pancia” sono anche capaci di far ridere “di testa” e di creare un film dall’ironia molto sottile e beffarda quale è il titolo in questione.

La parola che può venir subito in mente durante la visione di questo film è blasfemia.

Ma la blasfemia può essere gradevole, dolce e commuovere? Forse sì e quindi per questo evitiamo di partire già “con la puzza sotto il naso” tenendoci lontani da una pellicola di questo tipo perchè siamo pseudo-religiosi o timorosi di vedere chissà quale amoralità scenica. Certo una blasfemia per essere davvero efficace dovrebbe essere più cattiva, più spinta e allora sì che farebbe un grande effetto colpendo lo spettatore davvero in maniera sovversiva.

Non confondiamo però: il film non è una critica contro la religione cristiana (sebbene parecchie steccate ci siano) ma più che altro presenta la difficoltà del vivere e la tristezza umana del singolo e dove la comunicazione indiretta è solo un palliativo vuoto e spesso senza senso.

Sta più che altro a noi decidere con quale spirito vedere questo film, se dar più peso alla parte più critica verso Dio, l’umanità e la religione o se farci coinvolgere maggiormente dalla parte più romantica, leggera e poetica della storia.

Come stile narrativo, come tipo di personaggi buffi e come gran quantità di “zucchero” come tono narrativo e sopra le righe, questo film di Jaco Van Dormea mi ha ricordato moltissimo il film “Il Favoloso Mondo di Amelié” solo in versione meno briosa. Questa cosa potrebbe non essere un bene per il prodotto stesso, nel senso che una pellicola dovrebbe avere una sua identità e non ricordarne troppo un’altra.

In alcuni punti il film richiede un po’ di pazienza nel seguirlo, visto che si prende i suoi tempi senza voler correre. Che poi, da un altro punto di vista, potrebbe benissimo essere che siamo abituati a correre veloci e questo film, con le sue riflessioni, mette a dura prova una nostra abitudine da spettatori.

C’è da essere onesti, però, proprio con le persone riflessive a cui non dà fastidio prendere un film con i suoi momenti catartici: lo spunto iniziale del film, a causa anche della ripetitività delle situazioni, sembra man mano affievolirsi facendo tirare il tutto un po’ troppo per le lunghe e perdendo quindi d’efficacia.

Alla fine rimane un solo problema, un solo grosso impedimento che blocca questi film per la definitiva consacrazione a livello commerciale: una miglior distribuzione cinematografica.

Anche film che in Francia fanno ottimi incassi e vengono distribuiti anche da noi rimangono sempre nel sottofondo del mercato, sovrastati e schiacciati da tante e troppe pellicole americane a cui si dà eccessiva importanza a priori. Oppure perché sussiste una ricerca di pubblicizzare e divulgare meglio certi prodotti Italiani con uscite al cinema di troppi film fotocopia, assai simili gli uni agli altri.

C’è chi dice che “bisogna divulgare il made in italy”… Solo se è meritevole, aggiungo io, e preferisco un prodotto come questo con tutte le sue imperfezioni che altri, nostrani, che sembra non vogliano imparare dai loro errori.

VISTO DA JOE

Volete un film dissacrante? Volete un film surreale? Volete un film francese? Volete un film originale? Se almeno una delle risposte è SI’, allora questo film è per voi. C’è un’impronta di stampo epicureo (Dio non esiste, o se esiste, non si interessa di noi): ed ecco questa divinità antropomorfa rappresentata nella più mera quotidianità di una famiglia di basso ceto, con padre burbero, madre succube e figlia ribelle.

Questo Ente Superiore controlla l’umanità con cattiveria, senza empatia, senza capire: chiuso in una stanza-archivio, regola le vicende umane tramite un potente personal computer. Anzi, se può cerca di rendere più miserabile l’esistenza delle sue creature proprio perché di natura è crudele. Ma, mi si perdoni l’ossimoro, è una divinità umana soggetta alle intemperie del fato, a cui tutti devono obbedire, e anche per lui la ruota gira. Se questo è Dio, Gesù è un soprammobile con cui dialoga solo la sorella.

Per non rischiare di cadere nello spoiler (e in un eventuale omicidio da parte di Marvin nei miei confronti) non aggiungo altro perché è tutta una storia da scoprire. L’ironia non è sprezzante, non è sarcasmo (Beh, forse un po’ sì), ma non è nemmeno leggera come una piuma: si mescola comunque ad un registro poetico molto raffinato che lascia il segno e che ti accompagna anche dopo essere usciti dalla sala.

Si mescolano anche i modi di comunicare il film, senza creare squilibri, senza dare fastidio all’insieme o disturbare lo spettatore. Forse il finale contiene aspetti maggiormente zuccherati rispetto al resto: qualcuno potrebbe vedere in questo una caduta del film, mentre invece potrebbe essere qualcosa che è legato al messaggio della vicenda. Sono varie anche le tipologie umane rappresentate: anch’esse portano una vena di lirismo e se non creano empatia con la loro divinità, la creano di sicuro con lo spettatore.

Il regista sa essere sapientemente ‘leggero con spessore’ anche quando tratta della Morte, tema con il quale ogni essere vivente deve assolutamente fare i conti. Anche qui si associano aspetti a volte drammatici, a volte comici, ma spesso anche umoristici. Non è facile creare armonia tra questi diversi ambiti: eppure il regista, con mano sapiente, riesce a bilanciare bene questi difficili ingredienti, senza essere né didascalico né moralista.

Il cast è praticamente sconosciuto al grande pubblico ad eccezione di Catherine Deneuve, cui viene affidata una parte decisamente curiosa: nonostante il Tempo sia passato anche per lei, rimane di sicuro una professionista. Sicuramente non passa inosservata la recitazione di Benoit Poelvoorde nella parte di Dio: l’attore infonde al suo personaggio tutti quegli aspetti che lo possano rendere testardamente cattivo nei confronti di chiunque.

Ma ancora meglio sono i due giovani Pili Groyne (la figlia di Dio) e il giovane Romain Gelin (Willy): il loro essere in quella fase preadolescenziale li rende genuinamente poetici con un tocco anche di originalità.

Il film è candidato all’Oscar come miglior film straniero. Io faccio il tifo. E se vince, che nessuna dica che è stato raccomandato ‘dall’alto’…

Marvin e Joe, in smoking nero, con in mano un calice di spumante, chiacchierano in mezzo alla scena

M (guardando JG): Ma a Natale dobbiamo essere per forza più buoni?

JG (guardando M con aria poco espressiva): Ma anche no!

M (ridendo ed indicando JG): Ahah! Lo vedi che sei d’accordo con me su una cosa?

JG (con una smorfia): Uff..Non mi tirare gobbo con queste disquisizioni filosofiche da quattro soldi…Piuttosto (indicando davanti a sé)

M (agitandosi appena): Ah già! Bravo! Gli auguri!

(si mettono in una posa più consona per quello che stanno per fare, poi ci ripensano: il bicchiere rivolto al pubblico, e una mano sulla spalla dell’altro)

M e JG (all’unisono):Auguri a tutti, e grazie!

Fonte: Youtube

SUBURRA

Pubblicato: novembre 23, 2015 in Uncategorized
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Locandina del film SuburraFonte: Trovacinema.it

Regia: Stefano Sollima

Con: PierFrancesco Favino, Claudio Amendola, Elio Germano, Antonello Fassari, Greta Scarano

Genere: Thriller

 VISTO DA MARVIN

Il film di Stefano Sollima è di alto profilo, si carica di parecchio stile visivo, si fa grande davanti agli occhi increduli degli spettatori. Ha uno stile molto ricercato, alza il volume, alza i toni: le sue interpretazioni si distaccano da qualunque produzione italiana che sia mai stata fatta. Rischia certo di fare lo “sbruffone” e può sembrare addirittura ridicolo nel suo tono pomposo (chissà come mai quando lo fanno i film Americani nessuno gli dà del”ridicolo”). Io trovo che tutto questo sia solo un bene per la nostra produzione e anche solo avere un film che ha il coraggio di fare qualcosa di diverso, di distinguersi dal solito film dai mezzi e dai toni ridotti, dal solito stile da sceneggiato televisivo andrebbe solo applaudito.

Esagero nel dire che il tono della pellicola ricorda quello di Nicholas Winding Refn (Drive, Solo Dio Perdona): davvero forte come paragone ma è solo per far capire l’idea generale del film e il fascino d’immagini ed eleganza tecnica con il suo insieme di ansia puramente stilistica quale la pellicola mira ad essere. Aggiungetegli anche che il film è diretto, brusco e crudo orfano e privo di buonismi e bigottismi rassicuranti e delicati.

Si rischia, però, che questa ricercata immagine stilistica renda il film vuoto al suo interno, forse a causa della sua grande critica sciale, dell’addentrarsi realmente dentro gli intrighi del potere sia sul versante gangster sia nei corridoi della politica. Non c’è davvero pericolo che risulti troppo accennato, sfiorando solo la superficie di qualcosa di marcio che sappiamo bene esserci in determinati contesti. Ma la questione è questa: altri film NON hanno estetica (vedi mezzi poveri e stile banale ) e NON hanno sostanza… Almeno questo ha una delle due cose.

Si dicevano le atmosfere… Le metafore ideologiche e stilistiche in cui Roma viene avvolta e rappresenta, sotto una perenne pioggia battente che intasa tutto, che crea disagi ,che raggruppa tutti i possibili lati del potere in egual modo perché sono tutti versioni di una stessa raffigurazione marcia e dell’uso che ne si fa.

Un film intoccabile sotto vari punti di vista: la mancanza di una vera analisi sociale, l’assenza di veri colpi di scena (perché diciamo pure che il film è molto prevedibile) non sminuiscono quello che il film è realmente, cioè un’esperienza, senza confronti, di alto livello artistico e di grande impatto visivo come non se ne vedono nel nostro cinema e che riesce, in ultima battuta, a far coesistere discorsi forti con l’intrattenimento.

VISTO DA JOE

Cominciamo dagli attori? Uno su tutti: Claudio Amendola. Già lo avevo apprezzato la scorsa primavera per il suoi contributo a “NOI E LA GIULIA”. Qui fa un deciso passo in avanti: esprime al meglio il suo essere romanodderroma con una parte che ancora non gli si è vista recitare, lontano da quei cliché tipici dei prodotti televisivi ai quali aveva abituato un certo pubblico.

Impeccabile è anche Elio Germano, ma rispetto ad Amendola è una conferma: la sua bravura rientra in canoni di cui molti più blasonati di me hanno già detto e stradetto. Di sicuro si cimenta in una tipologia umana verosimile già vista al cinema. Le sue capacità però gli permettono di personalizzare il suo ruolo.

Non manca di bravura nemmeno Favino, che infonde al suo personaggio una personalità decisamente torbida e senza scrupoli.

Non voglio dire che gli altri attori valgano meno dei due appena citati, anzi. Hanno semplicemente la ‘sfortuna’ di non essere così noti al grande pubblico.

Diretto da Stefano Sollima, il film presenta una struttura piuttosto intarsiata dove i filoni della storia si intrecciano in un punto e corrono paralleli in un altro. Il tutto dà al prodotto finale un ritmo molto serrato che non può non coinvolgere lo spettatore. Non è una ricerca del ritmo fine a se stessa.

Molti film prodotti in questi ultimi anni sanno che devono essere veloci se vogliono attirare un pubblico medio. Il discorso mi serve per dire che certe pellicole si autoimpongono di essere rapide come schegge, facendo della velocità un must imprescindibile. Alla fine, però, il prodotto che esce non risulta godibile come dovrebbe/vorrebbe.

In “SUBURRA” il ritmo non è imposto a tavolino dal regista ma dalla storia stessa, che è ambientata in una Roma poco visitata da film o dall’arte in generale.

Qualunque sia lo scenario, la facciata (la Roma dei politici, la Roma delle borgate, la Roma delle periferie), ecco che lo spettatore si trova di fronte ad una violenza dominatrice di tutti i rapporti umani. E quando dico violenza intendo sia quella fisica sia quella mentale. E posso assicurare che quelle scene fanno davvero male, anche se si affermasse di essere impermeabili di fronte al concetto stesso.

Il regista non si risparmia nei dettagli che a prima vista potrebbero pare grandguignoleschi. Si tratta quindi di una pellicola che che picchia duro soprattutto perché descrive la dark side di una città che al cinema è stata sempre rappresentata come maestosa, la caput mundi degli antichi, per intenderci.

Occhio alle allusioni: sono suggerite ma allo stesso tempo risultano molto evidenti senza ombra di dubbio. E credo ci sia poco da stare allegri: lo spaccato che traspare dal film scopre vizi e difetti della nostra gloriosa capitale, legati agli oscuri giochi di potere che tramano sotto la superficie.

Verrebbe da chiedersi QUANTO di tutto questo potrebbe essere inventato…

Non resta adesso che leggere l’omonimo libro di De Cataldo, autore molto acclamato nel quale purtroppo non mi sono ancora imbattuto.

Joe e Marvin arrivano al centro della scena, uno da destra, l’altro da sinistra. Joe ha un’aria leggermente stupita; Marvin ha un’aria torva

JG (con aria stupita) : Che roba strana.. Sei stato cortissimo! Che ti è successo???

M (cercando di imitare il “samurai”, personaggio di Claudio Amendola nel film): Shhhhh… Poche parole… Io ho tante cose da fare e se fai il bravo puoi entrarci anche tu…

JG (spaventata): Oh Mamma! Questo qui è impazzito, è entrato nel personaggio e non ne esce più!!

M (cercando di incutere terrore): Allora, di cosa hai bisogno per farmi passare la recensione sul blog? Tu fai una cosa a me (indicandosi) e io ne faccio una a te (indicando Joe)

JG (con aria fintamente serena): Da bravo, andiamo in un bel posticino… Non preoccuparti se ti mettono una camicia all’incontrario… Fa parte della divisa…

I due si allontanano con Joe Gideon che sorregge Marvin cercando di farlo camminare 

fonte:youtube

Argo film.JPG

screenshot tratto dal film “Argo”

 

Libreria Baravaj/Osteria dell’Utopia (a Milano in via Vallazze 34, angolo viale Lombardia), in occasione del ciclo di incontri denominati DEGUSTAZIONI CINEMATOGRAFICHE, ospiterà i vostri Marvin e Joe per una serie di serate dedicate a particolari monografie di personaggi legati al mondo della regia cinematografica.

Si inizierà il prossimo mercoledì, 11 novembre (indicativamente a partire dalle 20.45/21.00), parlando di Ben Affleck: molti lo conoscono come sceneggiatore e come attore, ma in quell’occasione sarà visto dal punto di vista della sua attività registica.

Saremo in accordo? Saremo in disaccordo? Toccherà a voi scoprirlo, presenziando all’iniziativa.

L’ingresso è libero: vi attendiamo numerosi.

IO E LEI

Pubblicato: ottobre 27, 2015 in Uncategorized
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Locandina del film Io e lei Fonte: Trovacinema.it

Regia: Maria Sole Tognazzi

Interpreti: Margherita Buy, Sabrina Ferilli, Ennio Fantastichini

Genere: Commedia

VISTO DA MARVIN

Diamo fiducia al cinema Italiano. Basta con questi film stranieri. Le produzioni hollywoodiane spopolano ma da un po’ di tempo a questa parte ci si sono messi anche gli spagnoli, i francesi e i tedeschi a fare prodotti di qualità e che fanno successo anche in Italia. Per iniziare cambiamo genere; ma sì, basta commedie sciocche e puerili, dimostriamo di non essere solo capaci a “sfornare cine-panettoni” (scusate, la battuta mi è venuta involontaria).

All’ultimo festival di Cannes erano in concorso ben quattro italiani: Garrone, Moretti, Sorrentino e Minervini (che pochi hanno notato ma tra questi è stato forse il migliore). Facciamo quelli che riescono a stare dietro all’attualità. Maria Sole Tognazzi ha dichiarato che ha diretto il film “Io & Lei” come un “pudico,gentile omaggio a Il Vizietto” e anche che ha voluto raccontare una storia semplice, come tante altre solo che la coppia in questione è composta da due donne….mmmm…raccontare di una storia omosessuale in maniera uguale a tutte le altre…la cosa mi stona un pochino!!!!.

A me viene da pensare che se al centro della storia, con le stesse cose che capitano ai personaggi fosse successo ad una coppia eterosessuale il film sarebbe passato inosservato, non avrebbe avuto molto interesse da parte del pubblico… Ma vogliamo dare ancora un pochino di fiducia al film??

Per fortuna non è troppo macchiettistico nella costruzione dei personaggi. Si sa che in una coppia, parlando di una coppia omosessuale al femminile, è abitudine immaginarsi una delle due più femminile,magari anche più borghese e poi l’altra un po’ più maschiaccio, più rude. Come è immaginabile, l’attrice Margherita Buy interpreta il primo tipo descritto e Sabrina Ferilli il secondo ma, come detto in precedenza, le due caratteristiche non sono portare all’eccesso e quindi non risultano caricate ed estremizzate.

Un elemento che porta un po’ ad estraniare il pubblico, a creare distanze è il contesto di uno dei due personaggi protagonisti: il personaggio di Margherita Buy è immerso in un ambito sociale molto d’alta borghesia, il suo lavoro è molto cool, i vestiti, il luogo di lavoro ed anche la casa hanno uno stile molto ricercato. Voglio dire: quant’è la percentuale di persone che vivono in questo modo? Il film vuole dirci che tutti le persone omosessuali si possono permettere uno stile di vita cosi ricercato?

Ma per fortuna c’è il personaggio interpretato da Sabrina Ferilli che fa da contrasto a questo mondo e ci riporta alla realtà con uno stile di vita più semplice, più diretto e alla portata (economica) di tutti. Trovo molto più funzionale il voler immergere l’omosessualità in un vissuto molto più vicino a quello dello spettatore medio… Ma forse tutto questo è una mia divagazione troppo da fissato, ho voluto vedere qualcosa che non c’è… La fiducia verso il cinema Italiano regge ancora.

Un aspetto davvero ben riuscito della pellicola è la parte comica. Finalmente una comicità ricercata, fine, intelligente e con i giusti tempi comici che non chiude (quasi) mai un siparietto comico con una parolaccia buttata lì… Giusto per fare colore. Di questo tipo di comicità il nostro cinema ne ha bisogno disperatamente.

Ma ora arrivano le note dolenti.

Il film cerca di borghesizzare, rendere digeribile senza scandalizzare in nessun modo (anche un principio di scena di sesso viene subito tolta dall’inquadratura) il tema della omosessualità.

I temi e i discorsi più scomodi e spinti vengono leggermente sfiorati per rimanere il tutto ben vendibile e visibile ad un pubblico più ampio possibile. Il pensiero del film è far accostare un certo tipo di pubblico con un tipo di libertà sessuale di ultima generazione e quindi, per loro, non molto facile da accettare.

Facendo così, a mio avviso, si perde tutta la parte stuzzicante, più divertente oltre che quella politica e legata alla vera attualità fatta di oppressione, di negazione e di non accettazione di poter essere se stessi.

 Insomma sia il pubblico sia chi ha fatto il film vengono sì a scontrarsi con un tema scottante, ma viene fornito anche un cuscino di rassicurante normalità per potercisi adagiare e avere la possibilità di essere in pace con la propria coscienza senza davvero avere avuto il modo e il coraggio di fare (per il regista) e di vedere (per il pubblico) qualcosa di davvero originale e forte come doveva essere.

Direi che la fiducia si è ridotta di parecchio…….

VISTO DA JOE

Per me è sì….

Avevo visto il trailer del film, e la presenza di Sabrina Ferilli mi aveva decisamente fatto innalzare soglie invalicabili di autodifesa. Questa pellicola ancor prima di ‘partire’ si prende un sacco di rischi: toccando una tematica delicata quale l’amore omosessuale tra donne, l’opera poteva cadere tranquillamente nel luogo comune, nel pressapochismo, nel pregiudizio, nella ‘burineria’ (di cui Ferilli è regina, purtroppo), nel cattivo gusto. Vedi il film, e ti accorgi che la regia non è mai caduta in queste trappole. E pensare che Maria Sole Tognazzi non è così nota al grande pubblico e (credo) non ha pluriennale esperienza in campo cinematografico. Ne vien fuori una storia molto delicata, molto vera, con una coppia che si trova ad affrontare alti e bassi di un ménage sentimentale. La novità sta nel fatto che su schermo il pubblico ha visto poche volte una vicenda al femminile di questo tipo. E’ vero che se al posto di Ferilli e Buy ci fosse stata una qualsivoglia coppia etero, l’insieme avrebbe perso interesse. Ma il rilievo, per quanto importante (e non perché lo stia dicendo io…), non incide sulla qualità del film e soprattutto sul mio giudizio.

Dicevo Ferilli. Per me questa attrice rappresenta l’elemento casereccio nella forma più bieca e ovvia che si possa immaginare: la vedi una volta e bene o male le volte successive non sfugge più di tanto al suo cliché di romanaccia (parola che uso con estremo affetto e simpatia verso chi è di quelle parti. NOTABENE: non ho nessun tipo di pregiudizio nei confronti di romani e/o laziali). E invece… La sorpresa del film è proprio lei. Ha incarnato un personaggio sanguigno, verosimile, determinato, pieno di pregi, ma pure di difetti. E lo ha fatto senza che il suo essere romana travalicasse i confini del suo ruolo. Margherita Buy si conferma attrice esperta di nevrosi. Ma anche qui c’è una novità. Oramai lo spettatore dei suoi film ha fuori dagli occhi le sue classiche interpretazioni simil-isterico-a-scatti, di cui è ricca la sua filmografia. Se rimane ancorata al cliché della nevrosi, se non altro esprime nuovi moduli recitativi esplorando ambiti (come era già capitato in MIA MADRE di Nanni Moretti) che precedentemente le erano sconosciuti. Anzi se posso dirlo, penso che rispetto a MIA MADRE, Buy abbia fatto ulteriori passi avanti, non solo per il modo in cui ha espresso il suo essere attrice ma anche per il coraggio di avere affrontato in un contesto storico come il nostro (ridondante già di suo di preconcetti, figuriamoci riguardo le coppie omosessuali!) un ruolo di difficile resa come questo.

Scambiando pareri ed opinioni con amici (anzi, amiche), mi son sentito dire che Buy non avrebbe dato il meglio di sé perché a disagio nel recitare questa parte. Io la vedo diversamente: secondo me, non è il disagio dell’attrice che appare, ma il disagio del suo personaggio che…Orpo, mi sto addentrando in uno spoiler che è bene interrompere subito. Tra i comprimari, ecco Ennio Fantastichini che spicca sulla massa anche se gigioneggia un po’ troppo e si muove su percorsi di recitazione già da lui sviluppati in anni di onorata carriera. Da un lato bravo, dall’altro è il “solito” Fantastichini che inizia ad avvertire i primi sintomi di ruggine.

Per quanto riguarda Tognazzi, non si distingue per trovate registiche d’avanguardia, quanto per avere imposto all’insieme del film un registro globalmente pacato e quotidiano (da intendersi NON in senso spregiativo), anche se l’appartamento dove si svolge grossa parte della vicenda non è proprio alla portata di tutti.

Correte a vederlo.

Marvin e Joe arrivano rispettivamente da sinistra e da destra fino a porsi uno di fronte all’altro, ad una distanza abbastanza ravvicinata. Si osservano con faccia neutra

M e JG (all’unisono): Insomma…Cosa devo fare per farti cambiare idea?

(in realtà l’ultima parola sfuma in una risata fragorosa di entrambi, al punto che uno dei due, per effetto del ridere, si piega in avanti mentre l’altro si inarca all’indietro; quando sfuma la risata i due ritornano a guardarsi con lo sguardo ancora intriso dalla precedente risata, finché tra i due non torna il silenzio e un po’ più di serietà)

M e JG (nuovamente all’unisono): NIENTE!!!

(la risata è ancora più forte della precedente, e dopo essersi sganasciati per un bel po’, mettendosi a vicenda un braccio intorno al collo, escono ancora ridendo, chi chinandosi in avanti, chi tenendosi la pancia).

Fonte: youtube

INSIDE OUT

Pubblicato: ottobre 13, 2015 in Uncategorized
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Locandina del film Inside OutFonte: Trovacinema.it

Regia: Pete Docter

Genere: Animazione

VISTO DA MARVIN

Quando si è convinti di una cosa, ogni esempio, immancabilmente la rafforza.

Sono sempre più convinto che in un film sia il regista a fare la differenza e questa pellicola per me è l’ennesimo esempio che conferma la mia certezza.

La PIXAR si è dimostrata capace di grandi capolavori ma anche di film discutibili come livello non tanto tecnico ma artistico, pellicole più legate a esigenze di mercato o dai significati troppo semplici e diretti. Forse “l’asticella” del film che ha qualcosa da dire di diverso, che delimita certi limiti e che la stessa PIXAR ha contribuito a segnare più volte alzandola è quasi diventata una condanna per loro stessi ma bisogna ammettere che film quali “Monsters & Co.” e “Up” sono riusciti a superare dei limiti dicendo qualcosa di diverso rispetto a “Cars 2”, “Ribelle” o “Monsters University”. Quello uscito quest’anno, “Inside Out” può tranquillamente accostarsi al primo gruppo più che al secondo. Cosa accomuna quindi questi tre film ? Semplice il regista: Pete Docter.

Il film ha tutta la storia della PIXAR in sé, curato nei dettagli estetici tramite metafore visive più o meno stratificate, elaborando molti temi in maniera più o meno immediata riuscendo anche a rimanere fedele alla solita costruzione filmica in cui c’è un equilibrio iniziale che viene rotto e alla fine se ne crea uno nuovo, necessario e migliore.

Un film quindi su un percorso di crescita, su un passaggio da ragazzini ad adolescenti. Ma è anche un viaggio di opposti: da un lato la protagonista in carne e ossa percorre il suo viaggio, dall’altro anche due personaggi (virtuali) devono convivere e percorrere il loro cammino in maniera forzata ma questo li renderà migliori e più consapevoli di se stessi.

Stiamo parlando di un film che riesce a far ridere senza eccessi di “stupideira”, senza usare troppi personaggi e situazioni di bassa lega (amanti dei Minions vi sentite presi in causa?) ma anche a far commuovere senza eccessi di drammaticità gratuita riuscendo quindi a bilanciare il tutto. Questo porta alla ferma convinzione di ad aver visto un film molto più sopportabile (perché a volte bisogna usare questo termine) anche agli adulti che accompagnano i propri figli al cinema.

Bisogna dare atto alla PIXAR di aver preso diversi rischi con questa pellicola e aver abbandonato una strada più sicura in termini di resa e di argomenti da trattare, lasciando da parte il coraggio (argomento tipico per i film sulla crescita) o almeno trattandolo in maniera molto più complessa e trasversale del solito.

In effetti trovo che questo film, forse anche troppo, sia indirizzato più ad un pubblico costituito prevalentemente da adulti perché certe cose che vengono proposte sullo schermo, alcune sottigliezze, alcuni temi trattati e, volendo esagerare, certi aspetti da “thriller psicologico”, sono dettagli molto difficili da assimilare dai più piccoli ormai assuefatti a standard diversi.

Lasciando a margine tutte quelle trovate puramente commerciali per mettere al centro momenti amari, credo e spero che i più piccoli riescano ad assimilarlo, a digerirlo nella maniera giusta. Magari non nell’immediato ma forse confrontandosi con i propri genitori al rientro a casa dopo la visione cosa che ,a mio avviso, restituirebbe alla figura dei genitori il vero ruolo che dovrebbero avere…

VISTO DA JOE

Ero convinto di poter ridere di più. Ma non è una colpa del film, bensì delle mie aspettative. Pensavo all’equazione PIXAR=COMICITA’ visti tutti i film precedenti particolarmente evasivi (ma comunque con dentro un piccolo messaggio). Per Inside Out è più opportuno parlare dll’equazione PIXAR=UMORISMO, per tutta quella serie di situazioni che apparentemente sono in un modo, ma che in realtà, attraverso la riflessione, sono di tutt’altro sapore.

La pellicola infatti risulta a tratti anche malinconica, se non addirittura amara. Se il prodotto può essere consigliato a qualsiasi adulto, non lo è per tutto il pubblico piccolo, per la presenza di scene un po’ troppo tristi e/o dolorose. Lo vederei più adatto per la ‘tarda’ infanzia se non addirittura per un’adolescenza inoltrata, quando già sussistono le prime nostalgie, o nell’archivio mentale sono già presenti alcuni particolari vissuti. Non dico che prima di questa soglia aangrafica il film potrebbe ‘disturbare’, ma potrebbe risultare difficile da spiegare.

Tra i lati positivi, la storia risulta geniale per come suddivide ed organizza la mente dell’essere umano. Essa sarebbe ‘guidata’ da cinque ingredienti: gioia, rabbia, tristezza, disgusto e paura. L’azione sinergica ed equilibrata di questi, porterebbe l’essere umano ad uno stadio di serenità notevole, accrescerebbe nell’individuo la propria fiducia in se stesso, la propria autostima e lo stare bene insieme agli altri. Un particolare ‘accidente’ inserito nella vicenda permette di comprendere ancora meglio come sia organizzato il nostro io interiore, il meccanismo dei ricordi, e in qualche maniera il funzionamento di conscio e subconscio (Freud spiegato ai bambini? Azzarderei QUASI di sì…). A proposito dei ricordi, trovo azzeccata la spiegazione di come questi vengano conservati, rimossi o addirittura dimenticati (ma che amarezza!!).

Insomma, mi è piaciuto il film? NI’. Ho paura, con l’età, di diventare come lo spettatore medio americano a cui deve essere detto tutto. Secondo me, al film, manca un pezzo: dopo aver elaborato la situazione iniziale, tranquilla e controllata, ecco che tale equilibrio viene spezzato e dopo che la crisi della situazione è arrivata al suo culmine attraverso appropriate tappe, arriva SUBITO la soluzione finale senza un minimo di spiegazione. Il film sarebbe stato troppo lungo? Non credo. Però una maggiore completezza della storia avrebbe dato maggiore lustro agli sceneggiatori della Pixar, dimostrando che oltre ad essere simpatici buontemponi, possono essere anche maturi e far riflettere.

Non consiglio, ma non sconsiglio.

Un’ampia sala con al centro una postazione-console munita di un quadro comandi pieno di tasti e luci intermittenti colorate in modo diverso. Potrebbe sembrare l’interno di un’avveniristica nave spaziale. Dopo un po’, Marvin arriva da sinistra tutto concitato.

M (tono concitato): Eccomi qui… sono nella sala che regola la mente di Joe (si guarda intorno, inebriato dal potere che ha in mano) Adesso potrò condizionare tutte le azioni di Joe e plasmarle secondo la MIA volontà… E soprattutto potrò influenzare (accentuando il tono) le sue recensioni!!

(mentre continua ad essere inebriato da questa onnipotenza, accarezza tasti e manopole varie, non accorgendosi che da destra è arrivato Joe; nel frattempo una cloche del quadro comandi incuriosisce Marvin)

M(incuriosito): Chissà a cosa servirà questa…

JG (risoluto): Fossi in te, non la toccherei…

M (spaventato dalla presenza di Joe, fa un balzo all’indietro): Ma… cosa ci fai qui??? (stupefatto) Come puoi entrare nella tua mente??!!

JG (Risoluto): Questo è il bello… siamo nella TUA mente non nella mia… (sorride sinistramente)

M (nel panico più totale): Non è possibile! (in crescendo) No! Noo!! Nooo!!! (così dicendo esce di scena correndo)

JG (rimanendo in scena da solo): E’ incredibile la forza della parola, quando prendi alla sprovvista qualcuno… Gli ho fatto credere di essere nella sua mente… (camminando lentamente qua e là e osservando rapito)…Quando invece eravamo davvero nella mia (ride ed esce)

Fonte: youtube

DOVE ERAVAMO RIMASTI

Pubblicato: ottobre 1, 2015 in Uncategorized
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Locandina del film Dove eravamo rimasti fonte: Trovacinema.it

Regia: Jonathan Demme

Con: Meryl Streep, Kevin Kline, Audra Mc Donald, Sebastian Stan, Mamie Gummer.

Genere: drammatico

VISTO DA MARVIN

Tanti parleranno di questo film soprattutto decantando le continue, confermate e durature prove da grandissima attrice di Meryl Streep. Sono sicuro che il mio socio Joe Gideon farà lo stesso e tra tutte le recensioni che si concentreranno su questo aspetto io preferisco quella del mio socio senza confronti con altre.

Preferisco puntare l’attenzione su altri aspetti che sono sicuro verranno messi in secondo piano perché “schiacciati” dall’ingombro dell’attrice protagonista.

Voglio quindi portare in primo piano Jonathan Demme, geniale regista degli anni ’80 – ’90 che si è un po’ perso negli anni, cosa del tutto naturale e anche normale che accada per chi lavora su un arco di tempo così lungo.

Gli anni passano e quelle qualità che contraddistinguono un autore, come le particolarità del proprio lavoro, vanno ad invecchiare anche perché si scontrano con le richieste del pubblico che, come al solito, decide la longevità di un regista piuttosto che di un altro.

Il regista, per confermare quello che ho detto, in questo caso si ripete perché è un film molto simile ad uno dei suoi ultimi (“Rachel Sta per Sposarsi”) dove era presente un elemento che arriva a disturbare un equilibrio molto precario di middle-class americana.

Inoltre conferma il fatto che lui, pur essendo un regista di sinistra, realizza molto spesso film anche “di destra”, facendolo in maniera tale da cercare di trasmettere, tramite il cinema, un senso di riappacificazione politica tra i due estremi.

Punto anche i riflettori sulla scrittrice di talento Diablo Cody che ha sceneggiato piccoli capolavori quali “Juno”, “Jennifer’s Body” e “Young Adult” e che anche questa volta tira fuori uno script affascinante e pieno di dialoghi perfetti che mai cadono nel retorico e mai sembrano da sceneggiato televisivo dozzinale.

La coppia vincente di questo film sono loro due: regista e sceneggiatrice.  Queste due figure sono (o almeno dovrebbero) essere i cardini che decidono e costruiscono un’opera cinematografica. Poi, troppo spesso, a questa unione si vanno ad aggiungere in maniera troppo invadente i produttori e sovente il film crolla, si sgretola perdendo tutto quello che differenzia un’Opera da un Prodotto Commerciale.

Ma non è questo il caso.  Diablo Cody continua a creare personaggi particolari, gioca con le convenzioni più abusate e le stravolge andando contro a certe specifiche del cinema mainstream.

Dall’altra parte Jonathan Demme agisce con scene e posizioni di inquadrature anche inusuali; non parlo di virtuosismi da film d’azione ma di vere e proprie decisioni sul dove mettere un personaggio rispetto ad un altro o avere il coraggio di trasmettere un certo tema tramite l’utilizzo della musica (altra nota caratteristica di Demme) e di come far “esplodere” una scena di chiarificazioni in maniera sommessa e non gridata.

Certo il fine è sempre lo stesso, la storia raccontata è prevedibile come anche il finale ma sono i mezzi che devono distinguersi e devono intrattenerci in maniera più intelligente e migliore rispetto ad altri.

…il tutto senza aver accennato al fatto che uno script del genere, una direzione ben salda devono essere poi veicolate tramite gli attori giusti e soprattutto la protagonista giusta, cosa che qui accade senza nessun dubbio.  

VISTO DA JOE

Ne avevo già parlato. Per stupirmi, Meryl Streep avrebbe dovuto impersonare un oggetto, o un concetto, o qualunque cosa purché inanimata.

Eppure anche stavolta è riuscita a sorprendermi. Mai avrei pensato che potesse interpretare una rocker scaciona in età avanzata (men che meno che si mettesse ad intonare “Bad romance” di Lady Gaga). Su di lei, l’età si fa sentire, ma senza appesantirne la classe e/o la bravura. In merito al personaggio, occorre dire che risulta verosimile in quanto le canzoni sono cantate con la voce rotta di chi vuole condividere una quotidianità faticosa, piena di problematiche, piena di difficoltà. Non canta certo per dimostrare le sue qualità vocali.

Anche Kevin Kline ha la sua età e, per quanto non sia di certo anziano, comincia ad accusare qualche incrinatura. E’  bravo, ma a fianco di Streep rimane un po’ offuscato.

Nel film i due attori sono una coppia divorziata da tempo con figli ormai grandi. Un dettaglio della storia li fa incontrare dopo un lungo periodo. Questo passaggio permette al regista di dimostrare una certa bravura nell’evidenziare quanto ormai sia profonda la distanza sociale tra i due: non ci sono PAROLE a determinare tutto questo, ma DESCRIZIONI, IMMAGINI, dettagli di ambienti che potrebbero parere insignificanti ma che in realtà servono benissimo al caso.

Attraverso queste descrizioni di interni si capisce quanto gli amanti di un tempo appartengano adesso a mondi paralleli e assolutamente distanti. Se lei vive alla giornata, tra gli alti e bassi di un’instabile relazione amorosa, facendo un lavoro alienante mal pagato, lui invece è sistemato nel mondo patinato della classica famiglia (apparentemente) felice, di livello alto, dove regna su tutto un (ipocrita?) politically correct; non a caso la seconda moglie è di colore (una meritevole Audra McDonald), capace in cucina, capace nei rapporti con tutti (anche con la precedente moglie del marito) e via dicendo. Il mondi di Kline non appartiene più a quello di Streep e viceversa.

Se gli universi di Streep e Kline sono quindi decisamente agli antipodi, non è così per i ricordi: la condivisione di un sentimento, per quanto lontano nel tempo, riavvicina sempre anche se per il breve spazio di una notte. Sono i condizionamenti della società a dettare legge, però, e per questo arrivano sempre ad avere la meglio nel prosieguo di certi rapporti umani. E questo particolare viene evidenziato dal sensibile Demme nel momento in cui catapulta Streep al ricevimento organizzato in gran pompa per il matrimonio del figlio. E’ qui che scatta la presa in giro di certi rituali tipici dei milieu borghesi americani che nei confronti degli altri, come si suol dire, la mettono giù dura.

Il finale? Non lo dico altrimenti Marvin mi addenta. Però, per sbilanciarmi, uso il termine edulcorato. Nel complesso il film risulta godibile sia per certe battute puntuali, sia per la bravura del regista: ti aiuta a staccare un po’ dalla realtà e ad evadere in modo abbastanza intelligente.

Ennesima candidatura all’Oscar per Streep? Ma anche sì!

Marvin è in scena da solo che sta armeggiando con una chitarra elettrica messa a tracolla e una serie di jack aggrovigliati da inserire nelle casse che gli stanno intorno. Quand’ecco che arriva Joe.

JG (rimanendo colpito): Che idea originale… Una recensione cantata a ritmo di rock!

M (spegnendo l’entusiasmo di JG): Per la verità non mi era venuta nemmeno in mente una simile baracconata…

JG (conservando ancora un po’ di entusiasmo): Però non buttiamo via questo spunto…Una bella ballata rock suonata da te, ed io che canto le due recensioni!

M (avvicinandosi, e colpendo ripetutamente con l’indice una spalla di JG) A parte il fatto che è riduttivo parlare di rock quando si suona questa Fender Stratocaster…

JG (timidamente): E tu che musica pensavi di suonare con questa chitarra?

M (togliendosi un peso): Heavy Metallll!!!! (così dicendo da una poderosa strimpellata alle corde che crea un suono particolarmente forte di volume e distorto; ne consegue un’onda sonora talmente forte che il povero Joe viene addirittura sbalzato dalla scena; realizzando l’accaduto, sullo sguardo di Marvin si dipinge un accenno di ghigno satanico…)

Fonte: youtube

 

SOUTHPAW

Pubblicato: settembre 6, 2015 in Uncategorized
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Locandina del film Southpaw - L'ultima sfida  Fonte: Trovacinema.it

 

Regia: Antoine Fuqua

Con: Jake Gyllenhaal, Rachel Mc Adams, Forest Whitaker, 50 cent, Oona Laurence

Genere: drammatico

 

 

VISTO DA MARVIN

Strano percorso quello del regista Antoine Fuqua che rimane pur sempre fedele al suo stile. Non è certo artista dai mezzi toni: il suo, piuttosto, è un cinema brutale in cui racconta storie di vita forti in maniera ferma e decisa. Ma ecco come semplici sfumature (un cast sbagliato, un uscita al cinema in un momento calcolato male e una riuscita in generale non ottimale) possono rendere le sue pellicole o dei gran capolavori riconosciuti e di grande importanza (“Training Day”, “The Equalizer”), o film riconosciuti come sbagliati o semplicemente venuti male (” King Arthur”, “L’Ultima Alba”).

Eccolo quindi cimentarsi con il tipico film sportivo di caduta e riscatto molto tradizionale e tutto sommato prevedibile come ogni film di questo genere: e infatti alcuni cardini chiave e passaggi narrativi sono inevitabilmente riprodotti e raccontati come il cliché richiede.

Ma vorrei precisare che troppo spesso si legge “tratto da una storia vera” e si sa benissimo che molti accadimenti e sfumature vengono modificate se non addirittura inventate del tutto. Informandomi su vari canali ho scoperto che quello che viene raccontato nel film è la verità nuda e cruda senza esagerazioni o modifiche narrative.

Inoltre un film sul pugilato, sopratutto per un attore, è considerato una prova importante di maturità cosa che, a mio avviso, non riguarda l’attore Jake Gyllenhaal che ha già dimostrato più volte la sua bravura e duttilità in ruoli anche diversi e impegnativi.

Altro punto fermo di questi film, oltre la prevedibilità, è la retorica ma credo ci siano film peggiori in questo senso che risultano molto più leziosi e pedanti. Anche quando questo film dà le sue “lezioncine” credo lo faccia in maniera sconnessa e non pulita: considero questo un punto a suo favore perché si parla di una retorica sporcata e quindi migliore in quanto più realistica.

Se devo dare una specie di chiave di lettura al film direi questo: il senso di sobrietà, di ricerca dell’armonia e del contegno sopratutto nei confronti dei sentimenti che i vari personaggi si ritrovano ad affrontare regna sovrano.

Mi spiego meglio…..

Anche nei combattimenti (che potevano benissimo e facilmente essere più incalzanti, fascinosi e spettacolari per il pubblico medio) il regista sceglie di non calcare la mano. L’unica cosa in cui decide di essere incisivo è l’interpretazione e la fisicità del suo protagonista.

Per tornare a combattere il nostro pugile mancino deve imparare a difendersi visto che prima era famoso proprio per incassare parecchio e non avere mai la guardia ben alzata.

Si assiste quindi ad un cambiamento nel suo modo di combattere grazie ad un nuovo allenatore. Questo viene ben seguito e gestito dalla narrazione soprattutto nel match finale, quando il modo in cui si racconta la vicenda e la regia stessa mutano radicalmente.

Se i primi combattimenti sono dettati da una furia visiva molto veloce e molto più in stile action, l’ultimo è più un fatto di testa, ragionato e portato avanti in maniera più realistica e sensata tanto che assistiamo a quasi tutti i 12 round che lo compongono.

Ripeto, questo discorso non è solo legato alla narrazione ma proprio alla regia stessa che cambia in questo senso.

Ci si potrebbe lamentare che la rivalità con il pugile sfidante sia poco accurata, poco sentita e il pathos quasi assente. Riguardo la chiave di lettura del film stesso è un grossolano errore di interpretazione: il vero nemico del protagonista è se stesso; il resto (l’avversario, il manager) sono solo mezzi per affrontarlo.

La pellicola potrebbe essere facilmente accusabile di “esser tutto e non esser niente” cioè di non essere un vero film di rivalsa: ha alcuni sentori di film di “revenge”; molti sentimenti ma non troppi da essere un film di sentimenti; offre pure accenni di critica sociale su un certo tipo di mondo sportivo ma io trovo che questo film, come anche il suo protagonista non possono essere “chiusi in un angolo” e farli appartenere forzatamente e commercialmente ad un solo genere.

Non bisogna sottovalutarlo perché facendo cosi lo si rifiuta e gli si dà la possibilità di “metterci al tappeto” uscendo cosi sconfitti dalla visione di un film, liquidandolo facilmente dicendo solo: non ci è piaciuto!

Io mi porto dietro questo film anche dopo la sua visione (quanti film riescono davvero in questo senso??) pur non essendo pieno di espedienti che lo rendono facilmente trasportabile nei ricordi: altri prodotti simili usano personaggi particolari, altri ancora scene d’azione roboanti. Ripeto: quanti film riescono davvero in questo senso SENZA questi espedienti furbetti???

Io trovo che “Southpaw”  abbia proprio in sé il pregio di giocare di sottrazione e di esser poco d’effetti (il combattimento finale non è glorioso nella messa in scena risultando molto tecnico e quasi estenuante) cosi da farcelo ricordare.

 

Nota finale: peccato che, come a volte capita, un grosso colpo di scena (importante per la narrazione, che accade a mezz’ora del film) viene reso noto nel trailer!!!!! Davvero una cosa stupida

 

VISTO DA JOE

Jake Gyllenhaal ha di sicuro fatto un altro passo importante per essere definito grande. In precedenti commenti ho avuto modo di riscontrare un dettaglio che lo mette molto in evidena rispetto a molti dei suoi colleghi. Per quanto bravi, gli ‘altri’ interpreti non fanno mai dimenticare del tutto se stessi: non è tanto una questione di trucco riuscito male, imperfetto, quanto di una qualità di recitazione. Guardando i film di Gyllenhaal, si nota veramente un cambiamento significativo passando da un personaggio all’altro. Sarebbe ora che il pubblico si accorgesse di lui con maggiore attenzione.

Mc Adams esegue il suo compito in un modo un po’ scolastico, senza infamia e senza lode (ma con più lode che infamia).

Whitaker, professionista dalle provate capacità, è il co-protagonista e nel suo essere un piacevole ‘grillo parlante’ contribuisce alla riuscita della storia. E’ un peccato che una carriera come la sua non abbia ricevuto quei riscontri che meritava. Un bravo va pure a Laurence nella parte della figlia dodicenne: in questo tipo di storie, personaggi di questo genere appaiono fin troppo stereotipati. Laurence invece riesce a staccarsi da un certo cliché arricchendo il suo ruolo con un percorso abbastanza diversificato negli esiti e per questo motivo interessante.

Perché poco sopra ho detto in questo tipo di storie?

Ho iniziato il post parlando subito degli attori perché mi premeva ribadire quanto già avessi detto in precedenza su Gyllenhaal.

La storia mi passa un po’ in secondo piano perché la vicenda è tra le più consuete, perché contiene quella serie di avvenimenti che potrebbe capitare a ciascuno dei piccoli microcosmi che popolano questa terra: oggi tutto va a gonfie vele ma una serie di casualità potrebbe cambiare le cose in meno di ventiquattro ore. E’ la costruzione del personaggio di Billy Hope che rende un po’ differente il prodotto. Il suo essere mancino (southpaw è il termine tecnico che indica questa caratteristica), il suo essere aggressivo, vengono rielaborati dall’allenatore Whitaker.

Un film sul pugilato, poi, ha illustri predecessori a cui rendere doverosi tributi: Rocky, prima di tutto, oppure Toro Scatenato (e la lista potrebbe continuare). L’opera di Fuqua avrebbe potuto anche intraprendere la strada delle ‘citazioni’ per cavarsi dall’impaccio e qualcosa, all’interno della realizzazione  effettivamente sussiste. Ma si può dire che la pellicola viva di propria luce in modo onesto, senza essere debitrice di nessuno. Senza la partecipazione di Gyllenhaal, il film perderebbe di molto (probabilmente non l’avrei nemmeno preso in considerazione perché il pugilato non mi appassiona per niente). Rimane il fatto che certa retorica e certi cliché NECESSARIAMENTE devono esistere in una simile vicenda.

Sopportateli se decidete per questo titolo.

 

Joe è in scena da solo, sta dando un’occhiata ad alcuni fogli. Poco dopo arriva Marvin che gli si fa accanto adocchiando gli stessi fogli da dietro la spalla di Joe.

JG (sorpreso, guardando ripetutamente i fogli): Marvin… Guardando quello che abbiamo scritto sul film noto che esiste qualche margine di accordo… (guardandolo in faccia, accennando un sorriso) Che dici? Può essere di buon auspicio per il prosieguo della stagione?

M (innervosito dalla situazione, sostenendo lo sguardo): Non ti illudere…E’ PURA e semplice coincidenza! (A JG si ‘spegne’ lo sguardo, M se ne accorge e rincara la dose) E’ praticamente impossibile che io e te si possa essere della stessa idea riguardo un film (JG è impietrito), se mai dovesse capitare è pura e semplice coincidenza (esce agitando l’indice della mano destra, ripetendo più volte l’espressione ‘pura e semplice coincidenza’; JG rimane nella stessa posizione).

 

fonte: youtube.com

CHIUSO PER FERIE…

Pubblicato: agosto 6, 2015 in Uncategorized
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Locandina del film Jurassic World  Locandina del film Terminator Genisys  Locandina del film Ex Machina  Locandina del film Babadook

Locandina del film Giovani si diventa  Locandina del film Il ragazzo della porta accanto  Locandina del film Pixels  Fonte: Trovacinema.it

 

 

I CONSIGLI DI MARVIN

Terminator Genisys / Jurassic World

Alla moda di fare remake, reboot e simili ultimamente si è accostata il desiderio di rilanciare vecchie saghe con nuova linfa cinematografica sperando magari in una trilogia.

Ci si può approcciare in un’operazione di questo tipo in vari modi. “Jurassic World”, affidato al nuovo regista Colin Trevorrow ma sempre sotto la super visone di Steven Spielberg ha deciso di puntare tutto “sull’effetto nostalgia”. Il film è tutto un rimando, citazione, omaggio…scopiazzatura del film originale del 1993. Occorre aggiungere poi un paio di cose: i dinosauri non sono più in animatronic (cioè dei robot) ma sono stati sostituiti dalla CGI; le sotto-trame che funzionavano non sono state cambiate di una virgola (i tipici ragazzini da salvare) così come è sopravvisuto un meccanismo di personaggi protagonisti in cui lei incarna la tipica “donna tutta di un pezzo” e lui è il macho muscoloso un pò burbero in perfetto stile “All’inseguimento della Pietra Verde” con la coppia Douglas / Turner. Complessivamente, direi che tutti i pezzi del puzzle sono ben incastonati!!!

Di differente tipo di costruzione e approccio è stato il film “Terminator Genisys”. Qui certo ci sono i rimandi e gli omaggi alla storia originale ma, invece di riproporre la storia originale solo rimodernandola un pochino, si è deciso di riscrivere quasi completamente la storia di partenza andando a modificare parecchi passaggi narrativi che ben conosceranno i fan di questa saga nata nel 1985 da James Cameron. Quindi è presente un occhio referenziale verso il materiale di partenza ma pure un desiderio dispingersi “più in là” e di aggiungere qualcosa di diverso andando anche a esagerare e a stravolgere meccanismi e personaggi ben conosciuti.

Un grosso errore è stato fatto nel comparto marketing con la rivelazione della vera natura di un personaggio molto importante e amato già dai trailer sottraendo agli spettatori la bellezza di scoprirlo da sé durante la visione del film e quindi “giocandosi” una fetta di pubblico che non ha accettato questa modifica.

Sebbene Jurassic World abbia deciso di giocare sul sicuro, acchiappando in pieno il pubblico di riferimento voluto tanto che il film è un grosso successo commerciale e di critica, io preferisco Terminator Genisys, per aver avuto il coraggio di osare, di buttarsi in un terreno molto rischioso andando anche a perdere il pubblico di fan che aveva. Infatti il film è stato un sonoro flop commerciale e di critica

Ex Machina

A volte l’estate è terreno per film su cui la distribuzione Italiana crede poco e che quindi evita di far uscire in periodi commercialmente più fertili.

Questo non vuol dire che questi determinati film siano davvero poco incisivi o minori rispetto ad altri…anzi.

Questo film in particolare, uscito nei cinema il 30/07/2015, arriva, per chi si interessa di queste cose, con un bagaglio di approvazioni unanimi da parte di chi ha già avuto la fortuna di vederlo.

Io sono tra questi.

Un film di fantascienza psicologica tutto basato sulla parola e sul ragionamento dove i tre protagonisti discutono su temi importanti quali obblighi morali, manipolazione dei sentimenti e delle persone avendo come spunto narrativo l’analisi e la realizzazione di una Intelligenza Artificiale senziente. 

Una gothic story moderna con estetica asettica e futuristica per un modo di fare sci-fi “da camera” perché girato in pochissimi luoghi e con pochissime persone e dove il ritmo lento e l’assenza di velocità narrativa tipica di questo genere sono solo l’ennesima conferma di quello che realmente il film vuole portarci a fare cioè a discutere di questi temi cosi importanti

I CONSIGLI DI JOE

L’estate cinematografica non si è mai distinta per un’elevata qualità dei film distribuiti nelle sale. Il rischio può essere quello di ‘bruciare’ un prodotto non facendogli guadagnare nemmeno il necessario per rientrare nei costi. Mi adeguerò al livello, dunque.

Babadook

Il film è stato annunciato come qualcosa di diverso dai soliti film dell’orrore. E devo dire che per buona metà della proiezione la storia riesce ad essere affrancata da tutti i topoi del genere: una situazione di stress si acuisce a causa di un pretesto (uno strano libro), al punto da creare nella protagonista (giovane vedova, madre di un figlio sociopatico) una serie di allucinazioni piuttosto verosimili ed inquietanti allo stesso tempo. All’interno della vicenda risulta abbastanza riuscito il personaggio del figlio (l’attore è il giovane Noah Wiseman) che sa essere davvero odioso nel sua ipercinesi e nel suo essere problematico. Il ménage tra i due arriva ad essere torbido, imbarazzante ma è a questo punto che il film -secondo me- tradisce il suo intento iniziale cadendo in una serie di luoghi comuni relativi alla tipologia del film: nella seconda metà ho riscontrato una serie di involontarie citazioni dalle più terribili scene de “L’Esorcista”.

Pixels

Bisogna veramente voler bene agli anni ’80 per vedere questo film. Avete presente quei film che si vedono volentieri la domenica pomeriggio quando assale quel momento di non-volontà perché il Lunedì incombe? Ecco, questa è una di quelle pellicole. Il prodotto in realtà è studiato apposta per le famiglie dal momento che il centro dell’attenzione sono i videogiochi ma del tempo che furono (Pac-Man, Donkey Kong): in questo modo si soddisfano i ragazzini, ma allo stesso tempo pure i genitori nostalgici che sicuramente avranno fatto almeno una partita a questi videogames. La presenza di molte icone di quel periodo dovrebbe rendere ancora più appetibile l’insieme. Appetibile..signùr…Che Parolone.

Si può dire che è un simpatico (???) prodotto di serie B. Tra gli attori, Adam Sandler, che secondo me rappresenta la quintessenza di questa tipologia. Pensavo che Chris Columbus fosse garanzia di qualcosa di più elevato: mi sbagliavo…

Giovani si diventa

Devo dire che sono entrato in sala con un po’ di prevenzione rispetto a questo titolo. Rimane pur sempre un prodotto americano, ma confrontato ad altre pellicole se ne discosta per essere meno superficiale nei contenuti. All’interno della vicenda, domina sicuramente la figura di Ben Stiller che ha dalla sua una mimica facciale che incuriosisce sempre lo spettatore. Lo affianca una Naomi Watts, carina e simpatica. I due sono marito e moglie che hanno oltrepassato gli ‘anta’ da qualche anno: quale paura nel momento in cui si accorgono dei loro primi ‘problemini’ fisici. Quale risveglio dello spirito invece risulta essere la conoscenza di una coppia di molto più giovane (il lui della coppia, Adam Driver, da tenere d’occhio per il futuro): vuoi per emulazione, vuoi per una sorta di sindrome di peter pan, Stiller e Watts cercano di scongiurare la questione anagrafica gettandosi a capofitto in qualsiasi proposta fatta dalla coppia più giovane. Il film non è solo questo: ripropone, ma in modo diverso e più moderno, alcuni risvolti di “Eva contro Eva” anche se al maschile, più un’altra serie di spunti non trascurabili. Non sto parlando di un’opera d’arte: sto parlando comunque di un film estivo e comunque intelligente.

Il ragazzo della porta accanto

Mi è bastato vedere il trailer per capire la storia del film. Donna di mezza età (Jennifer Lopez) che si incapriccia di un adolescente vicino di casa, che pure diventa amico di suo figlio. Dopo la passione, la razionalità: la donna vuole interrompere questo flirt, ma lascio a voi immaginare COSA prevedibilmente potrebbe succedere mentre J-Lo tenta inutilmente di troncare il rapporto.

E per concludere…

Il consiglio, soprattutto se siete in una grande città, è quello di cercare eventuali cineteche che ripropongano monografie di qualche regista appetibile, o semmai sale d’essai che nella canicola estiva possano casualmente proiettare qualcosa che è stato perso nelle scorse stagioni. Per chi è di Milano, segnalo a settembre una rettospettiva su Xavier Dolan, giovane e assai talentuoso regista canadese, che sarà proiettata presso lo Spazio Oberdan..

Marvin e Joe entrano chiacchierando concitatamente: stanno praticamente litigando.

M (alzando la voce): Eri tu!!!!!

JG (tenendogli testa): No!!! (indicandolo) Eri tu!!!

M (alzando la voce): Dovevi occupartene tu!! Dovevi organizzare tu la scena finale di oggi

JG (alzando di più la voce): Ma cosa??? Eri tu!!!

M (alzando ANCORA di più la voce, indicandosi): Io l’ho già fatto l’anno scorso!!!

(si fermano; sono faccia a faccia; rivolgono lo sguardo ad un ipotetico pubblico; si riguardano; sono imbarazzati; si rivolgono nuovamente al pubblico)

M (imbarazzato): Bè…Buone vacanze

JG (Imbarazzato): Mmh… Sì… Buon cinema a tutti!

M (a bassa voce; dando una piccola manata sul braccio a Joe): Mi hai rubato la battuta!

JG: Ma cosa dici??!

(si avviano lentamente all’uscita riprendendo il litigio di prima e ripetendo alternativamente “Eri tu!” “NO! Eri tu!”)