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Locandina del film The Hateful Eight Fonte: Trovacinema.it

Regia: Quentin Tarantino

Con: Samuel L: Jackson, Tim Roth, Kurt Russel, Michael Madsen, Channing Tatum, Jennifer Jason Leigh.

Genere: Western

VISTO DA MARVIN

La mia recensione sarà forse un po’ più lunga del solito non tanto perché io adori particolarmente questo regista ma perché vorrei spendere qualche parola in più su un lato tecnico della pellicola…..cosa che a me piace molto!!!!

Come forse molti di voi sapranno il film è stato girato e presentato in versione 70mm. Solo tre sale in Italia hanno la possibilità di mettere in scena una visione di questo tipo; nelle altre, uscirà in classica versione digitale (e con alcune scene in meno).

Quentin Tarantino fa parte di una cerchia di registi che girano ancora in pellicola anche se poi i suoi film, come quelli di tutti, sono distribuiti nelle sale in digitale.

Il motivo per il quale ha scelto il formato in 70mm per “The Hateful Eight” è lo stesso per cui altri registi come Paul Thomas Anderson (che ha girato “The Master” in 70mm), Christopher Nolan, Alfonso Cuaron o Terence Malick girano quasi sempre parti dei loro film in 70mm: per mantenere viva la pellicola, dimostrandone l’utilità e non farla morire. Inoltre il formato 70mm si presta molto a film western, kolossal biblici oppure un film quale “Tron”(che pochi sanno fu girato in 70mm) o, per citarne altri, “Amleto” di Kenneth Branagh, “Tutti insieme appassionatamente” e pochi altri.

Alcune caratteristiche fondamentali di questo tipo di proiezione sono l’ouverture musicale all’inizio (schermo con un immagine fissa, nessun titolo di inizio e musica da orchestra) oppure un’interruzione tra primo e secondo tempo di circa 15 minuti.

Entrando nello specifico il film di Tarantino è stato girato con macchine da presa moderne ultra Panavision 65mm e poi stampato in 70mm anamorfico che consente un formato di proiezione 2,76:1.

Il dilemma sta nel decidere se ne vale la pena e se con le tecnologie di oggi c’è una vera differenza tra il digitale e il 70mm.

Noi tutti siamo ormai abituati alla qualità della pellicola 35mm, mentre da poco si è passati a quella superiore del digitale a 2K e in alcuni casi a 4K. La differenza tra il 35mm e il 70mm è, detto in parole povere, la stessa che passa tra il DVD e il Blu-Ray.

Le parole d’ordine sono risoluzione, maggiore brillantezza e migliore dinamica dei colori.

Ma certo il 70 mm è decisamente migliore della qualità Blu-Ray o di quella dei DCP (il formato digitale in cui vengono proiettati i film al cinema). Per fare un esempio basti considerare che se un film in digitale viene proiettato in sala ad una risoluzione di 2.000 pixel circa, la digitalizzazione di una pellicola girato in 70mm è stata fatta scannerizzando la pellicola ad 8.000 pixel.

Quindi il 70mm è meglio del digitale. Ma siamo in grado di accorgerci della differenza??? Oltre un certo livello di dettaglio infatti ci scontriamo con la sensibilità dell’occhio, un limite che è fisico (ci sono più dettagli di quelli che possiamo cogliere e quindi non ce ne accorgiamo). Difficilmente si accorgerà della differenza chi al cinema non va mai; più facilmente invece un occhio allenato potrà vedere meglio questa differenza, ma si parla sempre di minuzie e di particolari da appassionati.

Vi faccio solo alcuni esempi pratici di scene che hanno una resa particolare proprio grazie al 70mm:

 -sicuramente tutte le scene all’aperto (Questo formato è altamente giustificato se vengono messi in scena spazi enormi,distese di scenari immensi e imponenti: quindi tutte la parti in cui il film è ambientato all’aperto sono, per questi ovvi motivi, già rese al meglio con il 70mm);

-in una scena ambientata dentro una diligenza il direttore della fotografia riesce ad andare ancora più in là: utilizza la brillantezza e la capacità di catturare luce esterna assieme al riflesso della neve dell’esterno, portando il tutto ad una strana luminosità sulla scena con una forza dirompente;

-siamo abituati ad avere personaggi che interagiscono in primo piano e spesso lo sfondo è sfocato pur essendo animato da comparse: visto il forte livello di dettagli dell’uso del 70mm, in questo film, in quasi tutte le inquadrature che non sono primissimi piani, esistono due livelli narrativi egualmente importanti e nitidi (Questo metodo è presente un po’ in tutta la pellicola anche se ci sono scene che volutamente passano “da fuoco a contro fuoco” dello sfondo per chiare scelte creative di narrazione del regista).

Ma è ora di passare ad un’opinione sul film, lasciando stare la parte più puramente tecnica.

Dividerei il film in una prima parte più verbosa e chiacchierata ed in una seconda parte più all’insegna dello splatter. In tutta la pellicola ci sono molte lungaggini: lungaggini di discorsi portati allo sfinimento e lungaggini anche nei momenti più action. Nel film non si corre mai, non si va da nessuna parte e si gira sempre in torno alle stesse situazioni, agli stessi luoghi e agli stessi discorsi.

Dicono che Tarantino sia un genio ma non si deve dar ragione e osannare Tarantino a priori. Il continuo parlare e parlare di tutti i personaggi di questa storia può portare a noia, può portare a fare il giro completo dei sentimenti passando da una profonda curiosità, un forte interesse verso tutti i discorsi fino a far decadere l’attenzione all’insieme perché troppi e a volte ripetitivi.

Al regista piace il cinema, piace vedere quello che sa creare sia a livello di movimenti di macchina sia nel far parlare i suoi personaggi e forse non si accorge che tutte le lungaggini esagerate certamente permettono al pubblico di assaporare ogni dettaglio scenico, ma così facendo ogni volta, si rischia di far perdere la pazienza al pubblico anche a quelli che sono i “Tarantiniani più convinti” perché Tarantino fa spesso discorsi politici. Però, ribattere sullo stesso tipo di discorso, riproponendo le stesse polemiche non lo rende migliore.

Mi permetto anche di classificare il film non tanto come un western: vi ho visto tanti omaggi a registi di altro genere quali John Carpenter o Sam Raimi dei primi tempi. Anche la straordinaria colonna sonora di Ennio Morricone non è propriamente da western ma è molto da horror.

Questo film, infatti, è un horror in moltissime sue parti.

Quentin Tarantino sporca (metaforicamente e fisicamente) il suo film, sopratutto nella seconda parte con tutte quelle caratteristiche estrose del suo cinema, puntando quindi sull’ironia, sullo splatter più estremo con tutti quelli che sono i suoi marchi di fabbrica. Ed è quasi un peccato, perché il film stava funzionando perfettamente anche senza o almeno tenendo un po’ sotto controllo questi cardini, dimostrando ancora una volta (non lo faceva dai tempi di “Jackie Brown” ) di essere un ottimo drammaturgo, di saper creare tensione con parole, attese e gesti misurati. Alla fine, però, in tutto questo ci mette anche la parte più goliardica, quella che piace a lui e al suo pubblico, forse esagerando.

Trovo che Tarantino ami troppo i suoi personaggi e quelli che dovrebbero essere i suoi “odiosi otto”… non sono molto odiosi perché il regista li tratta troppo bene le sue creature non castigandole mai, dando ad ognuna spunti di interesse particolari che la rendono molto, troppo simpatica e “cool”.

Purtroppo alcune volter arriva al punto di portarli a comportarsi in maniera poco coerente creando,a mio avviso, grossi buchi di sceneggiatura.

ALERT SPOILER !!!!! – DA NON LEGGERE SE NON AVETE VISTO IL FILM –

Una cosa sul finale: nei film in cui c’è da risolvere un mistero, in cui ci sono omicidi dove bisogna scoprire il colpevole o c’è da scovare il traditore come in questo caso, sarebbe corretto che gli spettatori sapessero tutto, avessero tutti i mezzi e gli indizi per cercare di trovare il colpevole. Non trovo giusto, perché è prendere “per il c….” il pubblico, che la risoluzione dell’enigma avvenga tramite un personaggio/un espediente/una risoluzione che arrivi dall’esterno della storia e che prima non si era mai visto. Ma a Tarantino non interessa rimanere fedele alle regole del genere.

VISTO DA JOE

Che dire? Il talento di QT è sicuramente indiscutibile. In alcuni casi esso risulta ben gestito, in altre circostanze prende la mano al regista portando il tutto a livelli parossistici (e non parodistici). Mi domando: ma se un altro regista avesse presentato un film COSI’ cosa sarebbe successo? Come sarebbe stato accolto? Forse è questo il merito di Tarantino: lui può permettersi di girare pellicole che altri non potrebbero nemmeno sognarsi.

E veniamo al fattore sangue. E’ una cifra ricorrente: in Pulp Fiction e Kill Bill era talmente esagerato da far apparire il tutto come un cartone animato umanizzato; in Django era eccessivo ma forse per voler evidenziare la ‘dark side’ dell’effetto speciale. Qui invece siamo all’esagerazione splatter: a intervalli regolari è tale la sua presenza che alla fine non si può più parlare del sangue come un ‘fattore’, semmai come di un PERSONAGGIO. Il che non toglie il fatto che alcuni passaggi siano caratterizzai da momenti crudi e violenti, a volte anche un po’ disturbanti.

Parlando della struttura della pellicola, ecco che QT torna ai suoi albori squadernando i canoni tradizionali della sceneggiatura. Non mancano le autocitazioni, o piccoli richiami a suoi film precedenti, ma per fortuna sono fatte senza farle cadere troppo dall’alto.

Parlando sempre di struttura, è vero che si tratta di western, ma anche di giallo alla Agatha Christie. Ci sono pure reminiscenze teatrali che riportano alle grandi opere di Shakespeare, ma pure alle ‘claustrofobie’ da teatro russo. La tematica invece riguarda solo il western, anzi, attua geometrici parallelismi con la realtà contemporanea: i protagonisti agiscono in un’epoca di poco successiva alla guerra di successione. Nonostante l’esito della guerra, l’atavico disprezzo dei sudisti verso la popolazione di colore non si era assolutamente sopito, così come non era diminuita quell’avversione tra nordisti e sudisti a seguito proprio di questa guerra. Probabilmente Quentin è voluto andare alle radici di un problema (il razzismo, la non-tolleranza) tuttora esistente in terra americana, evidenziando come certe spedizioni punitive, purtroppo, non siano un’iniziativa recente. Quindi, terminato il conflitto secessionistico, non si trattava di semplice odio/disprezzo a livello verbale: bastava un niente per trasformare il tutto in violenza cieca (ed esagerata se parliamo del film) che porta di conseguenza litrate di sangue sullo schermo.

Gli attori? Apprezzabili, tutti. Inizierei con Jennifer Jason Leigh, in odore di Oscar. Faccio il tifo per lei perché è la prima volta che partecipa ad un film di Tarantino con un ruolo caratterizzato da dettagli forti e non semplici da mettere in scena. Leigh meriterebbe la statuetta a seguito di una pluriennale carriera cadenzata da personaggi complessati sempre ben espressi dalle sue capacità interpretative.

Entra nel carrozzone Tarantino Channing Tatum, attore solitamente interprete di ben altri ruoli, il quale si cimenta in qualcosa di diverso venendone fuori a testa alta: pur essendo secondaria, la sua parte risulta in ogni caso incisiva.

Kurt Russel da molti è ricordato come Jena Pliskin in “1997-Fuga da New York”: casualmente (o no?) uno dei personaggi lo definisce proprio iena (effetti del doppiaggio italiano?). In ogni caso l’attore, elegantemente invecchiato, incarna bene lo stereotipo di certe figure che caratterizzavano il west presente nell’immaginario collettivo.

Lascio per ultimi Tim Roth e Samuel L. Jackson: se il primo non è un assiduo dei titoli tarantiniani ma rimane pur sempre un ottimo interprete della volontà del regista, il secondo è ormai un fratello di latte, anzi, di sangue (è il caso di dirlo), del regista poiché intuisce a monte le sue volontà nel momento in cui assume un qualsiasi ruolo nei suoi film.

Per concludere: il film mi è piaciuto più di Django ma meno rispetto ad altre pietre miliari dello stesso autore, a causa di certe piccole incongruenze o per certo morboso voyeurismo violento proposto dallo stesso Tarantino, che risulta fastidioso se non addirittura gratuitamente perverso. Comunque, rimane il fatto che, piacciano o meno le dinamiche di Tarantino, ogni suo film debba essere visto.

Marvin è in mezzo alla scena; indossa un completo rosso (persino le scarpe son rosse). Inganna il tempo rileggendo alcune scartoffie, fin quando non arriva Joe vestito NELLO STESSO MODO. Tiene le mani dietro la schiena, sembra nascondere qualcosa di voluninoso.

M (tono concitato): E adesso?? Cos’è sta novità che ti vesti di rosso?

JG (timido): Ma anche tu sei vestito di rosso!

M (irritato, con aria decisamente nevrotica): Cosa c’entra!?! Io mi vesto SEMPRE di rosso! (Joe, con le mani sempre dietro la schiena, si rivolge verso l’ipotetico pubblico con uno sguardo interrogativo, a smentire l’affermazione di Marvin -che non si veste MAI di rosso) esce triste, con la coda tra le gambe, mentre Marvin inizia a camminare nervosamente avanti e indietro sulla scena)

JG (timido e impacciato nel parlare): Dovendo parlare di Tarantino, si deve parlare di sangue: se ci scappa il sangue, su un completo rosso fa meno paura.. fa meno senso.

M (abbastanza sarcastico): Dobbiamo parlare al pubblico di Tarantino, mica fare dimostrazioni pratiche di…(si blocca, cambia tono, stupefatto)…‘Spetta..Vorrai mica farmi credere che…dietro la schiena nascondi forse una KATANA??

JG (con aria triste e con molta lentezza palesa una splendida Katana dalla lama lucente; con voce molto bassa): Ehm… Sì.

M (ridendo): Ma dove l’hai pescata? Mettila giù prima che qualcuno possa farsi del male (avvicinandosi a lui) E poi, vatti a cambiare: dobbiamo SOLO parlare di Tarantino.

JG: Okay, va bene.

(Joe esce, lasciando la spada per terra, sulla scena. Non appena Marvin realizza che l’amico è lontano e non può vederlo, inizia a prenderla in mano e a provare gesti e mosse con molta precisione).

M (con aria di sfida): Dovremo solo parlare…(agitando la spada sopra la testa)… Ma se solo dirai qualcosa su cui non sarò d’accordo (facendo ripetutamente il gesto di tagliare qualcosa nell’aria)… Caro Joe… Ti farò a pezzettini! (la scena si conclude con un ghigno satanico di Marvin).

Fonte: youtube